L'attivismo quello con la A maiuscola, la neurodiversità quella con la N maiuscola
sul poterselo permettere
So che voi lettorx state impazzendo perché il solito articolo settimanale del papero non è giunto nelle vostre caselle di posta elettronica nel giorno santo abituale che è il lunedì…..ma non temete: questo articolo parla anche di questo!
Il motivo per cui mi sono costrettx da solx a far uscire un articolo a cadenza settimanale sempre lo stesso giorno ha a che vedere con il tema della neurodiversità e della performatività che viene richiesta a tuttx noi nel pantano che è la società in cui viviamo.
Non penso che questi articoli paperini stiano cambiando l’equilibrio politico mondiale (ma nemmeno locale, se posso dire…), dunque non credo che saltarne uno possa effettivamente minare chissà quale processo di enorme rilevanza politica; tuttavia, non ho potuto far a meno di provare un sentimento di sconfitta nel momento in cui ho constatato che questa settimana avrei deluso chissà quale aspettativa.
Prima fra tutte: la mia.
Questo articolo vuole scorporare, quindi, la faccenda dell’attivismo, della performatività e della neurodiversità; perché per me queste tre cose spesso si fondono in un unico blob mostruoso che mi paralizza e mi impedisce di stare nella fantomatica grazia di cristo.
Partiamo da questo assunto fondamentale: non possiedo una diagnosi certa e definitiva per quanto riguarda la mia neurodiversità. Alcuni fantomatici professionisti (maschile intenzionale) cui mi sono rivolta nello stadio iniziale del percorso di diagnosi mi sembravano abbastanza sicuri del verdetto (qualcosa intorno ad ADHD, AUDHD e simili) da farmi dire: non mi serve altro.
Perché? Perché il percorso di diagnosi è letteralmente la cosa meno neurodivergente friendly possibile immaginabile, piena di labirinti burocratici, tempi da rispettare, moduli da compilare, persone da convincere. Poi, ammesso che si riesca a proseguire un po’ più avanti dei colloqui preliminari, ci si ritrova davanti dei test datati in maniera imbarazzante, scritti palesemente da e per maschi etero cis; in alcuni casi direi anche scritti da persone neurotipiche che hanno studiato le neurodiversità su libri di psichiatria, senza preoccuparsi di consultare le persone in carne ed ossa cui si fa riferimento.
Inoltre, nel mio caso, si aggiunge anche il bonus femmina e il bonus queer, nella misura in cui è ormai stato provato da persone più intelligenti di me l’evidenza per cui nei percorsi di diagnosi sia presente un bias di genere importante, che infantilizza le persone socializzate donne e tratta come sintomi le identità di chi non si ritrova nella norma eterocis.
Per non parlare di quanto poco viene tenuto in considerazione il discorso intersezionale che sennò non finiamo più……
C’è da dire, comunque, che personalmente gli unici due ipotetici bonus utili che avevo individuato nel possedere una diagnosi definitiva hanno a che fare con l’università e con la sindrome dell’impostorx.
Per quanto riguarda la prima, è molto comune che alcune (molte) persone neurod si trovino in difficoltà con la macchina infernale che è l’università. Si tratta, infatti, dell’ennesima struttura estremamente neurotipica e capitalista che fagocita le diversità ed umilia le differenze.
I tentativi di “aiuto” (ci tengo a dire che in contesti accademici vengono usate le parole più infantilizzanti possibili) sono a discrezione di docenti che non sono formati in merito e sono provvedimenti dal dubbio funzionamento, applicati/proposti a persone neurod indistintamente, senza tenere in considerazione che:
a) esistono diversi tipi di neurodiversità, dunque lo stesso “aiuto” non funziona per tutti i “casi”;
b) due persone con la stessa diagnosi della stessa neurodiversità potrebbero avere esperienze profondamente diverse di essa e dell’università, quindi non ha senso proporre loro soltanto quelle 3 cose in croce totalmente randomiche che sono venute in mente a qualcunx che voleva soltanto mettere il bollino di progressismo (parola x me estremamente CURSATA) sulla propria università.
Va da sè, dunque, che ascoltando esperienze altrui e leggendo cose interessanti in grado di problematizzare anche e soprattutto da un punto di vista politico tali situazioni, mi è subito passata la voglia di continuare il delirio del percorso diagnostico avendo come unico motivo quello di ricevere le briciole del sistema.
Ci tengo a precisare, però, che ho potuto fare questa scelta da una posizione privilegiata (sono comunque riuscitx ad avere una laurea in tempo, almeno la prima….la seconda vi faccio sapere tra qualche mese…) e che chi ha bisogno e desidera quegli aiuti DEVE essere messx nella condizione di poter scegliere se averli o meno e di poterli adattare alle proprie esigenze.
In questo caso, quindi, non si sta giudicando chi decide di farsi diagnosticare e di approfittare LEGITTIMAMENTE di tutto quello che c’è a disposizione per cercare di vivere meglio. Si sta, al contrario, criticando il modo in cui il sistema elargisce miseri contentini pensando di aver risolto i bisogni di un’intera comunità.
Per quanto riguarda la sindrome dell’impostorx, invece, bhe………….è ancora qui, ma non ho ritenuto comunque fosse un motivo valido per sottopormi a quella che mi sembrava una tortura.
Mi è capitato di concettualizzare la diagnosi come una conferma inattaccabile da parte di qualche persona STUDIATA, che aveva il potere di abbracciarmi e confortarmi dicendomi che non mi sto inventando tutto e che ci sono dei nomi alle cose di cui faccio esperienza, che non solo da solx.
Di fatto, stavo scambiando diagnosi per comunità. Avrei scoperto dopo che quel sentimento di sicurezza, di legittimità e di mutuo aiuto può venire solo da una comunità di persone che vivono esperienze simili e che sanno cosa significa essere costantemente patologizzatx, infantilizzatx, quando non totalmente ignoratx, proprio come fa il sistema a cui pensavo di rivolgermi per chiedere aiuto.
Detto ciò, conosco comunque persone neurodivergenti che hanno tratto grande beneficio dall’avere una diagnosi effettiva, che è stata di grande aiuto nello spazzare via la loro sindrome dell’impostorx.
Non mi stancherò mai di dire, quindi, che ogni esperienza è diversa e che uniformare tutte le esperienze ad un modello o ad una dicotomia è quello che fa il biopotere, quello che fa l’eterosessualità, quello che fa il colonialismo ecc ecc, potrei andare TRISTEMENTE avanti con gli esempi.
Quello che ho scoperto parlando con altre persone neurod, cercando cose negli angoli bui dell’internet, è proprio che c’è una molteplicità di voci, quindi una molteplicità di esperienze, e che ridurle ai minimi termini non è utile per le persone coinvolte, ma serve solo a permettere a quello stesso sistema (che io, francamente, vorrei smantellare) di continuare a patologizzarle e stereotipizzarle.
Leggendo cose, parlando con persone, ho scoperto molto su di me e ho trovato il modo di comunicare queste scoperte all’esterno, in tal modo facilitando il mio rapporto con quello che mi circonda; e mi rendo conto anche di essere in un continuo processo di apprendimento e di scoperta, che, però, anzichè mettermi ansia, mi rende felice di esser in grado di saperne di più.
It’s all fun and games, però, quando ne possiamo parlare in maniera astratta/ipotetica…..tutto un altro discorso se parliamo di cosa significa per me fare questo piccolo attivismo che cerco goffamente di fare, ma anche di come, quando e perché ci riesco/non ci riesco.
Da quando ero adolescente mi sono avvicinata a diverse realtà politiche/politicizzate, assecondando diversi desideri e attraversando diverse città. Ho ascoltato molti discorsi che avevano a che fare con l’attivismo e con le metodologie, con il livello di impegno che le persone possono mettere nella fantomatica Lotta; e ho sempre trovato quello che, a mio avviso, è un grande vuoto, una grande crepa nel discorso, che mi ha portato ad un grande interrogativo: ma non è che il modo in cui si fa attivismo nella maggior parte dei collettivi è l’ennesimo set di metodologie scritto da persone neurotipiche per persone neurotipiche?
La domanda è, tristemente, nella maggior parte dei casi, retorica.
L’attivismo ad oggi è prevalentemente di stampo neurotipico. Ma è anche, e soprattutto, concepito per essere in qualche maniera performativo.
Ci dimentichiamo troppo spesso, secondo me, che lx militantx sono anche dei corpi.
E che alcuni di questi corpi sono neurodivergenti. La performatività dell’attivismo per come è configurato nella maggior parte delle realtà si esplica anche, dunque, in una forma di abilismo nei confronti di quei corpi che non riescono/non vogliono/non vogliono perché non riescono a performare le azioni tipiche dellx militantx perfettx.
L’errore qui è anche quello di identificarsi con la propria performance e di pensare che tutte le altre persone debbano farlo, chiarendo che la performance è o buona o cattiva, senza via di mezzo. La persona militante fa fatica, si sacrifica per la causa e dimostra il suo sforzo, anche in una retorica di glorificazione della stanchezza e del burnout.
Qualcunx a questo punto potrebbe obiettare che in verità in alcuni ambienti si sta iniziando a parlare di come la performatività in ambito politico sia il male e di come cercare di evitare di finirci dentro. E questo qualcunx avrebbe ragione.
Un dibattito è in atto e ho fiducia che si espanderà, ma è necessario scavare più a fondo ed integrare nel discorso vago della performatività e del burnout anche qualcosa di più specifico che parli delle persone neurodivergenti.
A questo proposito, fornirò un esempio.
Mi è capitato di trovarmi in discorsi in cui si dibatteva riguardo la validità (dibattere in maniera assoluta della legittimità di qualcosa che coinvolge un numero enorme di persone è già poco brillante di per sè, ma statemi dietro comunque) dell’attivismo online. Mi è capitato di parlarne anche con delle persone a me vicine e di intrecciare il discorso con quello riguardo le neurodivergenze.
Grazie a questo tipo di esperienze sono riuscitx a comprendere che:
- siamo ossessionatx da una serie di azioni simbolo dell’attivismo e che automaticamente consideriamo inutili altre metodologie
- tacciamo di superficialità quelle azioni e quei discorsi che non si rivolgono a noi e che sono più entry level, quindi, invece, a mio avviso, molto utili per chi si avvicina per la prima volta a un determinato tema (perché ci fa strano non essere noi la misura del mondo!!! wow!!!)
- bolliamo come fake con enorme facilità quelle persone che per un motivo o per un altro decidono o si trovano a fare un tipo di attivismo più online che di piazza
La seconda affermazione è self explanatory (ve la credete, ce la crediamo), mentre la terza è talmente ampia che per scorporarla dovrei scrivere almeno altre 20 righe e non ve lo meritate. Vorrei concentrarmi, piuttosto, sulla prima.
Pensare he attivismo = una serie di azioni è il motivo per cui la performance dell’attivista neurodivergente risulta carente/strana/manchevole/fake agli occhi dellx attivistx durx e purx. E il motivo è “semplicemente” l’abilismo.
Pensiamo ad una situazione tipica da lotta con la L maiuscola…il corteo.
Io, personalmente, sono a disagio nelle manifestazioni enormi in cui c’è un casino delirante, perdi con troppa facilità le persone di riferimento con cui sei venutx, il telefono inizia a sfarfallare x cui è difficile comunicare e trovare appunto quelle persone che hai sicuramente perso ad inizio corteo, bisogna camminare per 2-3 ore di fila ecc. ecc. Le soluzioni che mi sono venute in mente sono: portare dei tappi per il rumore, scegliere una persona specifica da tenere letteralmente per mano (o al guinzaglio, dipende dalla manifestazione….) tutto il tempo, rinunciare al trovare tutte le persone amiche presenti e rassegnarsi al fatto che al massimo ci si vedrà dopo, fermarmi quando sono stancx e accettare che non vorrò andare alla festa dopo perché non avrò le energie nè fisiche nè mentali.
Se un giorno, invece, non mi va di mettere in piedi tutti questi sistemi, non ho i soldi x comprare i tappi adeguati che ho perso alla scorsa manifestazione, nessunx delle persone di cui mi fido può venire con me, e quindi decido di non venire a manifestare…cosa sono? Unx pessimx compagnx???
E se mi trovo più a mio agio a dare un diverso tipo di contenuto che non mi mette nella condizione di dover trovare tutte queste strategie, che già di strategie per sopravvivere me ne devo inventare 100 al giorno nella mia vita normale, sono unx pessimx compagnx???
Vorrei che ci dicessimo sinceramente la verità: chi partecipa alle manifestazioni, così come sono concepite la maggior parte di esse, lo fa perché se lo può permettere.
Se lo può permettere economicamente (non lavora quel giorno, può permettersi di acquistare strumenti come tappi o medicine che permettono il funzionamento in senso neurotipico del corpo anche solo per qualche momento se desidera farlo, può permettersi di stare in meltdown il giorno/i giorni successivi perché non deve lavorare, può prendersi il rischio di stare male perché il servizio sanitario è gratuito), fisicamente (può permettersi di stare 2-3 ore in piedi a respirare fumogeni e sentire rumori forti, o quantomeno può permettersi di trovare una soluzione a queste vicisssitudini), psicologicamente (regge lo stress della cosa per com’è, oppure regge lo stress di dover ammettere di non farcela e magari andare a casa a metà corteo senza sentirsi in colpa, regge il peso emotivo e psicologico dell’ipotetico burnout del giorno stesso o del giorno dopo).
Ho fatto l’esempio del corteo perché è il più eclatante, ma potrei anche fare quello della semplice assemblea.
Alla fine quello che ho da dire è che mi rifiuto di continuare a vedere come in quegli stessi ambienti dove si parla di inclusività e di intersezionalità la partecipazione all’azione politica continua a passare per le solite pratiche neurotipiche, che non subiscono modifiche per adattarsi alle/accogliere le necessità e le rivendicazioni delle persone neurodivergenti.
Dunque, secondo voi, ha senso continuare a mantenere questi bias e queste metodologie che precludono una partecipazione entusiasta ad alcune persone neurodivergenti, o magari ha senso rivedere il modo in cui concepiamo e pratichiamo questo fantomatico Attivismo?
(E comunque, se vi state chiedendo il motivo del ritardo dell’articolo, bhe…..…diciamo che è un periodo PARTICOLARE x questo papero…..)
Cara disadattata, tu sei solo una cogliona privilegiata piena di paure e complessi che tu scambi per malattie mentali, al fine di avere l’alibi per essere l’essere inutile che sei. È una perdita di tempo che tu venga a fare politica se poi è questo che credi di chi ti sta intorno. L’attivismo on line è il vero privilegio,starsene al calduccio a scrivere e repostare cazzate per avere l’incazzatura del giorno con cui sfogarsi,questo è letteralmente ciò che fai. Mettere musica,avere i soldi per un impianto e tutto il resto,vestirsi come un imbecille buttandosi addosso tutto quello che trovi al mercato,giocando e provando vestiti ogni giorno,QUESTO È PRIVILEGIO. Togli la testa da culo,vai in terapia e poi ripresentati.